Sotto:
Marta, ottobre 2023
Foto di Maria Grazia Pelabasto
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Marta, ottobre 2023
Foto di Maria Grazia Pelabasto
Sotto:
Marta, 2022
Foto di Alina Briciu
Sotto: Marta, 2022
Fischietto con oche canadesi
Foto di Paolo Bologna
Avvistamenti e presenza nel lago di Bolsena
L’oca più famosa che vive nel porto di Marta sul lago di Bolsena, nella zona dove c’è la spiaggia con le barche dei pescatori, viene chiamata Fischietto. Si accompagna spesso con le oche canadesi. È diventata una istituzione del paese. Ce ne sono anche altre, sempre in compagnia delle Oche canadesi e dei Germani reali. Uccello conosciuto dall’antichità, quella italiana (o romagnola), ma denominata nel mondo ‘Oca romana’, probabilmente per via della leggenda delle oche del Campidoglio, è una delle più apprezzate e fatte accoppiare con altre per le sue peculiari caratteristiche. (P.B.)
Oca italiana fonte: wikipedia
L’oca italiana, detta anche “oca romagnola” o “oca romana”, è il nome ufficiale di una razza di oca, così denominata dallo standard italiano razze avicole nel 1996.
La razza è caratterizzata dal piumaggio bianco. Il maschio pesa circa 4–5 kg ed è abbastanza aggressivo; la femmina pesa circa 6 kg ed è in grado di produrre più di 100 uova ogni anno.
La razza è originaria dell’Emilia Romagna. È stata allevata come animale da cortile fin dall’antichità. Secondo Lucrezio, le leggendarie oche del Campidoglio dell’episodio del 390 a.C. erano bianche come questa razza, mentre Virgilio le descrive come grigie, facendo pensare piuttosto che fossero della razza dell’oca grigia padovana.
Il nome di “oca romana” fu attribuito dal professor Alessandro Ghigi, in onore delle oche del Campidoglio, a tutte le oche con piumaggio bianco, rapido sviluppo e abbondante produzione di uova, mentre il selezionatore Ferruccio Frau-Sanna fece notare che esistevano razze diverse di oche bianche, differenziate per mole e per produzione di uova. J. Charon, sul Journal d’agriculture pratique, si preoccupò di avere informazioni da Frau-Sanna su queste razze per migliorare le oche francesi.
L'”oca bianca romagnola” fu presentata dall’Italia alla seconda Esposizione mondiale di avicoltura, tenutasi a Barcellona nel 1924 e fu apprezzata negli Stati Uniti, dove prese il nome di “Roman Goose”. In un libro inglese del 1956 si riferisce che l’oca bianca italiana era stata utilizzata in Germania e nei Paesi Bassi per originare la razza Embden. Nel 1977 fu riconosciuta ufficialmente negli Stati Uniti la razza Tufted Roman Goose (“oca romana ciuffata”).
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Origini fonte: https://www.fiavinfo.eu/
L’allevamento dell’oca è antichissimo, molto anteriore a quello dell’anatra. Se ne trova traccia 4000 anni a.C. nella tomba del faraone Tè (V° dinastia), nella metropoli di Menfi. In essa è dimostrata l’avvenuta domesticazione, in quanto sono raffigurate, oche in un cortile insieme a gru e colombi, con sotto l’iscrizione: «La riunione dei colombi e delle oche dopo che essi hanno mangiato.»
Omero ne parla nell’Odissea, allo XV° canto, in cui è citata Elena che alleva oche nella corte del palazzo di Menelao ed al canto XIX°, quando Penelope, raccontando un sogno, parla del suo allevamento di oche.
I poeti greci si ispirarono al candore dell’oca e la paragonarono alla grazia e alla bellezza delle giovani fanciulle.
Ha oltretutto innumerevoli antenati famosi:
L’oca sacra di Augusto: abbandonata fra le braccia di sua moglie Livia dall’aquila cara a Giove, fu ritenuta un dono degli dei e pertanto consacrata.
Le consorelle del Campidoglio, allevate nel tempio di Giunone, che col loro sberciare avvertirono dell’arrivo dei barbari di Brenno.
L’oca di Friburgo, immortalata con un monumento, che, con la sua sensibilità, durante la seconda guerra mondiale funzionava da radar, avvertendo gli abitanti dell’arrivo degli aerei nemici.
Il becco è grosso e robusto, alla base è più alto che largo, di colore arancio intenso con unghiata rosea; esso è provvisto, ai margini, di lamine cornee che servono a strappare, triturare e spesso filtrare gli alimenti che l’oca trova sondando il fondo degli stagni.
Ha comunque un menu esclusivamente vegetale: erbe, semi, tuberi, bacche e frutta.
La testa è piccola, in proporzione al corpo. Il collo è lungo e fine. Le lunghe ali stanno aderenti e, quando sono chiuse, raggiungono l’estremità della coda senza però incrociarsi o sorpassarla.
I tarsi sono rosei e robusti.
Come tutte le oche selvatiche porta a termine una sola covata l’anno, covando, per 28/29 giorni, 5/6 uova al massimo.
Ha una colorazione particolare, che ritroviamo in molte razze di oche domestiche.
Il colore di fondo è un grigio brunastro uniforme ed il margine delle penne è orlato di bianco. Bianco nella parte bassa del petto, ventre castano con macchie di tonalità più intensa. La coda è come il resto del piumaggio.
In Romagna l’oca era altamente considerata, si diceva che, quando venne sparso nel Mondo il sale del giudizio, tre parti di questo furono assorbite dalle oche; il resto venne assimilato dagli uomini.
Definita il “maiale dei poveri”, in tempi in cui era difficile vivere, lei dava uova, piumino e ottima carne con pochissima spesa; anche la pelle veniva usata e, dopo essere stata sapientemente conciata, serviva per confezionare candide pellicce.
Le nostre oche domestiche assomigliano molto all’Oca selvatica grigia, anche se hanno un aspetto più pesante; la distinzione del sesso non è facile, perché nei due sessi la colorazione è identica; solo in età adulta, in alcune razze, il maschio è riconoscibile perché più grosso.
Nel recente passato il suo allevamento era molto sviluppato, specialmente nell’Emilia Romagna e Veneto.
Allevare oche non richiede molto, è sufficiente un prato per il pascolo, più o meno ampio a seconda del numero dei soggetti che si vogliono tenere, e acqua, anche poca, perché l’oca non è come l’anatra, ama soprattutto pascolare. I tarsi, situati al centro del corpo, sono molto più lunghi di quelli delle anatre, questa particolarità conferisce loro un passo più sicuro.
Se dispongono di sufficiente alimento verde sarà sufficiente, ogni tanto, un pastone di pane, cruschello di frumento e farina di granoturco oltre ad un po’ di grani, niente di più.
Ho letto, in un vecchio libro, che in Pomerania Occidentale – Regione a nord est della Germania da cui proviene l’omonima razza e dove fino alla metà del secolo scorso l’allevamento era particolarmente sviluppato – un ragazzo, al mattino, passando nei pressi dei villaggi suonava a distesa un corno e, da ogni casolare, uscivano branchi di oche che il ragazzo stesso conduceva al pascolo, come un gregge di pecore. Alla sera le oche rientravano al Paese e ciascun gruppo ritrovava la propria casa.
Le nostre oche un tempo erano riconosciute come eccezionali produttrici di uova e carne prelibata, ma erano anche apprezzate per la loro robustezza e facilità di allevamento; per queste loro doti furono esportate in tutta Europa. Sono sicuro che molte razze oggi esistenti in altri Paesi hanno il sangue delle oche italiane.
Sul libro Standard inglese, con prima edizione datata 1956, si legge:
«Non ci sono dubbi che, in Germania ed Olanda del nord, fu usata l’oca bianca italiana per creare la Embden, incrociandola con le loro indigene bianche.»
Oggi l’Oca non è più allevata come una volta e quei pochi soggetti che si vedono provengono dai tanti mercati di provincia, dove parole come morfologia, colorazione, disegno o produzione hanno poca importanza, ma agli inizi del secolo scorso, fino ad oltre la metà, l’oca faceva parte di quel patrimonio avicolo da conservare gelosamente nelle sue caratteristiche morfologiche di colorazione e di produzione.
La selezione, volta nel tempo a migliorare la produzione o l’aspetto, ha fatto sì che si creassero varietà con caratteri stabili dovuti anche al rapporto con l’ambiente e, quindi, al clima ed alla nutrizione.
Oca Italiana è una denominazione, molto vaga; con tale nome si potrebbe definire un’oca che occupa tutto, o perlomeno buona parte, del territorio nazionale, ma così non è stato, tanto meno lo è oggi.
Sulla letteratura dell’inizio del secolo scorso, quella che oggi definiamo Oca Italiana, era l’Oca Romagnola. È giusto che oggi l’Oca Romagnola, che ha fatto storia, non esista più? No! Personalmente non la penso così e mi faccio promotore del cambio di nome.
Ecco alcuni brani di autori e allevatori stranieri tratti dal libretto “Allevamento Dell’Oca” del 1940 di Ferruccio Frau-Sanna, direttore, agli inizi del secolo scorso, della rivista di avicoltura “Bassa Corte”:
«[…]se vogliamo fare la scelta di una razza di volatili per intraprendere con profitto l’allevamento, dobbiamo anzitutto renderci conto del suo valore:
1) consultando l’opinione degli allevatori amatori e degli avicoltori pratici commercianti;
2) constatando la voga ottenuta negli anni che seguirono la sua apparizione sui mercati e nelle esposizioni;
3) tenendo conto degli apprezzamenti dei nostri Maestri.
Dopo aver seguito l’oca di Romagna in questo triplice ordine di prove, dopo aver fatto oggetto di studi personali per oltre dieci anni, io vengo con tutta sicurezza a proclamare il suo alto valore. Ed è con piacere, misto ad un ben legittimo orgoglio, che io, quale introduttore in tutti questi paraggi, dell’oca di Romagna, rinnovo arditamente la mia predizione: “Essa detronizzerà tutte le oche del Paese”. Le oche fiamminghe, le oche di Virton, di Wieres, e della Semois, senza eccettuare le oche di Tolosa ed altre, debbono cedere il passo all’oca di Romagna. Nessuna delle qualità riconosciute, incontestate in questa razza del paese e straniere, manca nell’oca di Romagna: rusticità, facilità di allevamento e d’ingrassamento, finezza di carne, salute, vigoria, peso.
Essa possiede in una volta tutti questi pregi e meglio di ogni altra. E di più essa tiene il record della produttività doppia, tripla e anche quadrupla di quella delle altre razze. Infine la sua piuma e il suo piumino sorpassano in finezza, bianchezza ed abbondanza, tutte le sue concorrenti. Ecco perché essa ha raggiunto in pochi anni una vera rinomanza, perché è richiesta da per tutto tra gli avicoltori amatori, come tra gli agricoltori. Ed è anche ciò che ha spinto i giurati in tutte le esposizioni a coprirla di palme e di medaglie.»
Anche sul “The Journal of the Ministry of Agricolture” inglese l’allevatore/scrittore M. Stanley Porter esaltava la nostra oca e la consigliava, come pure faceva il francese Ad. J. Charon, redattore avicolo, sul “Journal d’Agriculture Pratique”. Charon, che si preoccupava molto del miglioramento delle oche francesi, si rivolse a Frau-Sanna per avere chiarimenti sulle diverse tipologie delle oche bianche italiane. Frau-Sanna delegò, fonte autorevole, il Prof. Alessandro Ghigi che così rispose:
«Le Oche Romane esposte a Le Haye da parte degli avicoltori inglesi furono acquistate in Italia. Esse corrispondevano all’oca Piacentina e alle Romagnole bianche, che esposte nella sezione italiana furono acquistate dagli inglesi. A mio avviso, tutte le oche italiane bianche sono dello stesso tipo (venete, romagnole e piacentina comprese). Esse sono delle ottime produttrici di uova. Volendo io acquistare da un contadino del Veneto una coppia di esse per la Stazione sperimentale di pollicoltura di Rovigo, per presentarle alla Mostra mondiale, ne ebbi un rifiuto, perché il contadino desiderava capitalizzare l’imminente prodotto delle uova.
È perfettamente esatto che queste oche producono un centinaio di uova all’anno, anche senza selezione. Ed in omaggio alle oche del Campidoglio che salvarono Roma, io ritengo che si dovrebbero chiamare oche Romane tutte le oche bianche a rapido sviluppo e a grande produzione di uova.»
Frau-Sanna si disse d’accordo con quanto esposto dal Prof. Ghigi, ma fece allo stesso tempo notare che i vari tipi di oca a piumaggio bianco avevano delle differenze di produzione e anche di mole, sebbene non molto accentuati.
Disse anche che gli allevamenti di oche delle diverse Regioni italiane sono prevalentemente rurali e non hanno interesse alla selezione non avendo questo fatto per loro nessuna importanza. Sanno solo che posseggono oche che rispondono perfettamente ai loro bisogni e di ciò si contentano.
Se mi permettete non sono d’accordo col Ghigi di chiamarla “Oca di Roma”, a parte le ragioni sopra esposte verrebbe da pensare ad un’oca originaria della campagna romana.
Così Giovanni Savorelli spiega come si è arrivati a chiamarla “Oca Romana”:
«Quando l’oca di Romagna fu presentata dall’Italia alla seconda esposizione mondiale di avicoltura di Barcellona (Spagna), nel maggio1924, piacque agli allevatori chiamarla “oca di Roma” e i visitatori delle diverse nazionalità, si domandarono con interesse e meraviglia, se quei campioni appartenessero alla razza che salvò il Campidoglio.»
Evidentemente per svegliare curiosità, e di conseguenza interesse, per la nostra oca si sfruttò la ben nota storica vicenda delle oche del Campidoglio, chiamandola appunto Oca di Roma; fu indovinata perché piacque questa nuova denominazione, tanto che sia l’America che l’Inghilterra acquistarono in quella occasione diversi soggetti. In Inghilterra è riconosciuta, già da lungo tempo, col nome di “Roman Goose” (Oca Romana). |
In America è stata ufficialmente riconosciuta molto più tardi, solo nel 1977, ed è chiamata “Tufted Roman Goose” (Oca Romana Ciuffata), sì, perché la selezione americana richiede un piccolo ciuffetto sferico sulla nuca.
Non credo che l’idea del ciuffo sia stata loro, ma che abbiano mantenuto una caratteristica già presente in alcuni soggetti direttamente importati dall’Italia; l’America è un Paese, come del resto l’Inghilterra, molto tradizionalista in avicoltura e le tipologie sono rispettate scrupolosamente nel tempo: razze come la Wyandotte, la Livorno e la Orpington, che in Europa hanno subito cambiamenti morfologici considerevoli, in questi Paesi sono rimaste inalterate, penso perciò che lo stesso trattamento sia stato riservato anche alla nostra oca.
Così è riportato nel loro “Standard of Perfection”: «L’Oca Ciuffata Romana è un’oca leggera, compatta, con ossatura fine, allevata nell’antichità a Roma e che si distingue per il ciuffo sferico sulla sommità della testa.»
Anche Pascal ne parla e secondo lui, pur essendo una caratteristica assai rara, si riscontrava in alcuni soggetti di oca comune.
Nel libro “Allevamento dell’oca e dell’anatra” del Dr. Gian Carla Pozzi, edito nel 1959, così sta scritto: «La testa è fine e talvolta ornata, in sommità, da un ciuffo, mai molto sviluppato.»
Questa caratteristica è anche presente nella bella razza spagnola “Empordanesa”, che ha caratteristiche molto simili alla nostra vecchia oca comune.
Lo standard inglese invece non parla di ciuffo, ma solo di un’oca piccola introdotta in Inghilterra già nel 1903 con una colorazione non fissata, ma precisando che, in seguito, si ebbero altre importazioni di colorazione bianca.
Nei due Paesi, Inghilterra ed America, è inclusa nella categoria delle oche leggere.
Come oca Italiana è invece presente negli standard della Svezia, Danimarca e Repubblica Ceca.
Interessante è fare un raffronto dei pesi fra i diversi standard:
Paese | Peso Maschio | Peso Femmina |
U.S.A. | Kg. 4,55-5,45 | Kg. 4,00-4,55 |
Inghilterra | Kg. 5,45-6,35 | Kg. 4,55-5,45 |
Svezia | Kg. 7,00-7,50 | Kg. 6,00-6,50 |
Scandinavia | Kg. 7,00-7,50 | Kg. 6,00-6,50 |
Repubblica Ceca | Kg. 5,00-6,00 | Kg. 4,40-5,40 |
Come si può notare sia la Svezia che la Danimarca hanno pesi molto più alti, ma è molto importante quello che ambedue scrivono a proposito dell’origine:
Danimarca
Origine: questa oca tuttavia non ha molto a che vedere con l’oca italiana. Si ritiene che sia un incrocio dell’oca comune di terra tedesca con l’oca di Emden con l’aggiunta limitata di oca italiana.
Svezia
Origine: probabilmente originata da un incrocio tra oca comune di terra tedesca con l’oca di Emden ed oca italiana.